ALCUNI PROVERBI  

 

I più numerosi sono quelli che si riferiscono al comportamento ed hanno il compito di indicare o consigliare il modo più adatto per affrontare i casi della vita. Altri si riferiscono agli animali per rilevarne pregi, difetti e abitudini (da attribuire all’uomo, ovviamente). Altri ancora si riferiscono allo scorrere del tempo e ai fenomeni atmosferici, che sono elementi basilari per il raccolto nei campi, per la cura del bestiame ecc. Vi sono infine dei proverbi che si limitano a rilevare alcune regole generali o fenomeni naturali, che bisogna solo accettare con cristiana rassegnazione, senza protestare od opporsi minimamente.

                                                                                  

Comportamento  

Aglie triste

fàcce glie canistre

(ca glie buóne se glie fa isse).

     Ai cattivi fai sempre qualche regalo, così te li terrai buoni (invece ai buoni non regalare nulla, poiché essi neanche ci pensano a farsi fare un regalo).

                                                                    

Amice i chempare

se parla chiare.

     Parliamoci senza peli sulla lingua, come si usa tra  amici e compari.

 

Appólla quanne appólla la jaglina

i quanne glie jaglie canta, tu cammina.                                              

     Vai a dormire presto, la sera ("con le galline"), così la mattina ti svegli con tempo (al canto del gallo).

 

Callarare che callarare nen se tìgnene.

     I calderai, avvicinandosi tra loro,  non si tingono (poiché già sono tinti a sufficienza).

     Tra bricconi c’è sempre intesa ed aiuto reciproco.

 

Chélle che fémmena nne vo’,

ome nen  fa.    

     L'uomo, anche se è autoritario, non muove foglia senza il consenso  della sua donna.

 

Chélle che nze fa,

nen se sa.

     Chi è innocente, stia tranquillo. Ma chi ha commesso qualche marachella, stia attento: prima o poi verrà scoperto e punito a dovere.

 

Chi è da puóche,

mìttece ‘mmane la gliuma i glie fuóche.

    (Ca sule chélle sa fà… Se pure!)

 

Chi gira de notte,

gira pe la mmala morte (o mmala sorte).

     Andare in giro di notte, significa esporsi a tanti pericoli.  

 

Chi lega bène (le jacquera[1]), scioglie miéglie.

     Chi fa le cose con accuratezza, ne raccoglierà i vantaggi. Viceversa chi fa a rappìcceche, raccóncia iécche i raccóncia loche, alla fine pèrde sule tièmpe.

 

Chi magna all’Assunta, nne magna a Sante Rocche.

     Chi spende oggi, non potrà spendere domani.

     Chi spende troppo, rimarrà presto al verde.

 

Chi nasce quadre, nne more tunne.

     E’ omologo di Chi è strunze, c'è i ce remane: ‘mpalése i annascuse (o annascuóste). Chi è sciocco, lo dimostra sempre, palesemente e nascostamente.

     Traduzione dal latino “Vulpem pilum mutare, non mores”, la volpe cambia il pelo, non le abitudini (Svetonio).[2]

 

Chi nen fa a ditta alla mamma i aglie padre,

fa a ditta a ‘ne cuórne de crapa.

     Chi non dà retta ai genitori, finisce male.

 

Chi prima prevvéde, a tiémpe magna.         

     Chi si provvede con tempo, si troverà bene dopo.

                                                                                    

Chi s'acquentènta, gode.

 

Chi s’addorme che glie vagliune,

la mmatina se retrova schemmerdate.

     Chi si fida degli sciocchi, ce remétte ‘nquiénte i pèzza.

 

Chi sèmmena, arraccoglie (i chi nó, se fréca).

      Traduzione dal latino “Ut sementem feceris ita metes”, mieterai così come avrai seminato (Cicerone).[3]                                                                                    

 

Chi se ‘mpréna de té,

nze figlia mè. (Forc.)   

     Chi si fida di te, non verrà mai a capo di nulla.

                                                                                

Chisse 'lle chiane:

làreje de vócca i stritte de mane.

     Quelli della piana[4]: prodighi a parole e  taccagni nei fatti.

                                                                                    

Chi truóppe la tira (la fune), la stocca.

                                                                                     

Chi va che glie ciuóppe, se 'mpara a ceppecà.                                           

 

Chi ùteme arriva, mal alloggia.

     Chi arriva per ultimo, s’accontenti di quello che è rimasto.

                                                                                 

Cuórpe satulle nen créde agli affamate.

     Chi sta bene, non si preoccupa di chi naviga in brutte acque.

 

Cure che nn'è viste ma' mmetanna,

la prima vota se schemmèrda.

     Si dice di chi fa un uso smodato di qualcosa che prima non conosceva.

                                                                               

"Dàmme" i "donghe" èrane amice:                                                 

tu me dè le fave, ie te do glie cice.                                             

     "Dàmmi" e "do" erano amici: io do a te le fave e tu dài a me i ceci.

     I favori si scambiano reciprocamente.

 

E' miéglie a fà a cappellate che glie viénte                                      

ch'a schempète che chi nen te capisce.

     E' meglio lottare contro il vento usando il cappello come arma, piuttosto che discutere con chi non vuole o non è in grado di capirti.

     Non insistere con chi non vuole ascoltarti.      

 

Foglia nze move, se viénte nen tira.

     Nessuno si sacrifica per gli altri: chi lo fa, vuol raggiungere qualche suo scopo segreto.

 

Glie cannarine è stritte:

s'agliótte la casa che tutte glie titte.

     La gola è stretta, ma è capace di inghiottire la casa con il tetto intero. 

    Chi spende troppo per la  gola, prima o poi rimarrà al verde.                                                                                                                        

 

Glie monache abbrevegnuse va sèmpre che la sacca vacanta.

     Il monaco vergognoso non riempirà mai la bisaccia.

     Se ti serve qualcosa, chiedila pure.

 

La chempagnia fa triste glie pastóre.

     Il pastore che si intrattiene a parlare o a giocare con i compagni, perde le pecore (che si allontanano troppo e finiscono in bocca al lupo).

     Chi ama troppo la compagnia, difficilmente compie il proprio dovere.                                                                                                                         

 

La mamma pe glie figlie

fa glie veccóne pecceriglie.                            

Glie figlie pe la mamma

se jètta tutte ‘ncanna.                                                                              

 

Musecante i acchiappaciéglie

fa glie figlie peveriéglie.

 

Ognune all'arte sia (i glie gliupe alle pèquera).                                              

     Ognuno si dedichi al suo mestiere (come il lupo per sua natura si dedica alla caccia alle pecore).              

 

Ome de vine

nne vale ne quatrine.

 

Puórche, priéte i puglie

nen se vìdene maje satulle.

 

Rigne-ragne,

tante m'abbusche i tante me magne.

     Quello è un incosciente: spende tutto quello che guadagna e perciò sta sempre al verde.

 

Setacce, mio  setacce,

cómme me fè, quescì te refacce.

     Caro mio, come tu tratti me, così io tratterò te.

 

Se la ‘mmidia fusse cacarèlla,

schemmerdasse sètte mmetanne.

                             

Animali

 

Asene curte,  pellitre pare.   

     Scambiare una cosa per un’altra, a volte è utile per sopravvivere.

 

Attacca la crapa alla vigna: 

chélle che fa la mamma, fa la figlia (in  quanto a porcherie).

 

Cavaglie iastemate, ce lucene glie pire.

     Le maledizioni degli altri non ci procurano danni, anzi ci giovano così come il sole giova ai peli del cavallo.

 

Chi lava glie cape aglie asene,

pèrde tiémpe i sapóne.

     Chi vuol convincere i testardi o aiutare gli sciocchi, perde tempo inutilmente.

 

Chi non mangia, sarà (avrà) mangiato.

     E’ omologo di Jaglina che nen pìzzeca, è pezzecate (chi rifiuta qualcosa, vuol dire che s'è già provveduto abbastanza).

 

Disse la vólepa agli riglie:

quanne è galle i  quanne è grille.

     Bisogna rassegnarsi: a volte le cose vanno bene, a volte vanno male.

 

Glie puórche satulle, revòteca glie scefóne.   

     Il maiale quando è sazio, rovescia il truogolo.    

    Alcuni, una volta ricevuto un beneficio, dimenticano i benefattori.

 

Puórche i pecceriglie: 

cómme glie fè (educhi), tiéttìglie.

 

La cevétta: bejate  a do’ ce canta, triste a do’ ce fa la mira.

 

Quenziglie de vulpe, stragge de jagline.                                                        

     Quando certe persone si ritrovano insieme, di sicuro stanno programmando qualche marachella.

 

Triste chélla pèquera che nen pò la lana[5].

     E' ben triste lo spettacolo di chi s'adopera tanto per condurre una vita tranquilla e invece gli va tutto di traverso.

     O anche: Chi è poco avveduto, finisce male.

 

 

Lo scorrere del tempo, i fenomeni atmosferici, l’agricoltura

 

All'avemmaria (all’imbrunire)

chi alla casa i chi pe la via (del ritorno).

    

E' miéglie 'na bona morte

che de giugne ‘n'acqua de notte.

     E’ meglio una buona morte piuttosto che una pioggia notturna nel mese di giugno (che rovinerebbe tutto il grano maturo).

 

Fa cchiù che nove dì i nove notte

che nove mése ‘ntèrra muórte.

     Negli ultimi tempi (il grano) cresce velocissimamente: in nove giorni e nove notti più di quanto non sia cresciuto in nove mesi sepolto (muórte) sotto terra.

 

Glianna, glive i muste

nen se véde se nne vè auste.

     Non prima di agosto si può vedere se il raccolto di ghiande, olive ed uva sarà abbondante.

 

Gliuna settembrina

sètte se ne trascina.

     La luna di settembre influenza le sette lune successive per ciò che riguarda l'andamento meteorologico.

                                                                                

Magge frische (piovoso),

ranare calle (granaio caldo, cioè pieno).

 

Natale che glie sole,

pasqua che glie tezzóne (con il maltempo, che ci costringe ad accendere il focolare).

 

Nebbia bassa

bbóne tiémpe lassa.

Nebbia pe le coste,

l’acqua s’accosta.

 

‘Nsant'Antuóne

ogne triste caglina fa gli uóve.

 

‘Ntiémpe de menaccia[6] 

chi vo’ l'ova che se le faccia.

     Al tempo della vendemmia, chi vuole le uova se le fabbrichi da sè, poichè le galline non ne dànno.

     

Palma assutta, régna ‘nfussa.

     Domenica delle Palme con il buon tempo, giugno con il maltempo (e quindi covoni bagnati).

             

Pasqua nne vè, 

se gliuna chiéna de marze nenn'è.                                   

 

Quanne attubba (s’addensano le nuvole) alla mentagna,

tuóglie le pane i va'  ‘ncampagna (poichè non pioverà).

Quanne attubba alla marina[7],

tuóglie le pane i va'  ‘ncantina (poichè pioverà).

                                                                                

Quanne chiove all'Annenziata (25 marzo),

se prevéde ‘na mmala annata (raccolto scadente).

 

Quanne chiove i tira viénte,

cacciatò, statte pe déntre!, poiché difficilmente riuscirai a mettere qualcosa nel carniere.

 

Quanne ràzzane glie crapitte, glie tiémpe se revasta. [8]

     Quando i capretti saltellano allegramente, il tempo si rimette al brutto.

                                                                                

Quanne glie passere vève a mórra, arriva glie mmaletiémpe.

                                                                                      

Se febbraje nen febbrajéa, 

marze mmalepènza.                                        

      Se febbraio non fa la sua parte di maltempo, ci penserà poi marzo a rimediare (a modo suo).

 

 

Regole Generali o Fenomeni Naturali

 

A chi tocca, s'arróscia.

     Chi ci capita, paga le conseguenze.

 

Acqua che nen féce, ‘nciéle nce remase.

    Se una cosa deve accadere, prima o poi accadrà.                

 

Acqua i fuóche

Dia glie dia lóche!, poiché, se dilagano, distruggono tutto quel che trovano.

  

Alla fine 'gli anne ognune è 'vute le sia.                                       

     Prima o poi ognuno avrà quel che merita.

     E' omologo di Chi ciénte ne fa, una n'aspètta (chi si comporta male, s’aspetti la giusta punizione, che prima o poi arriverà).

 

Chélle che nne ‘ntórza, ‘ngrassa.

     Questa pietanza fa schifo? Mangiamola ugualmente: sse nze rampónne ‘ncanna, fa bène alla salute.

 

Chi more de fugne,

è pazze chi glie chiagne.

 

Chi pèrde ‘na cappa 

i trova ‘ne mante,

pèrde, scì;

ma nen pèrde tante.

     Si dice quando, ad es., ci muore l’asino e recuperiamo i finimenti; quando a caccia non prendiamo nulla ed allora raccogliamo un po’ di cicoria o d’asparagi o di legna secca Insomma quando una cosa ci va storta e cerchiamo di limitare i danni.

 

Chi tè le mèle (miele) ‘mmane i nze le lécca,

nen trova chenfessóre che glie assòlve (o, meglio, assòleve).

     Chi non approfitta dell’occasione propizia, è uno stolto che non merita alcuna comprensione.

 

Gli artista:

pe la fame pèrde la vista. 

     Così dicendo, i contadini si rifacevano nei confronti degli artigiani del paese, che si davano troppe arie.

 

Il mondo s'affina,

ma non si fina.

     Il mondo migliora costantemente, perciò non si distruggerà mai (anche se le apparenze, a volte, ci inducono a pensare il contrario).

 

La méssa i la ‘nzalata 

è bbona quanne s'è vetata[9].

 

La pelezzia fa bène a tutte, 

forché alla saccoccia (dove portiamo le monete).

 

Pane, vine i presutte,

l'aria è bona pe tutte.   

     Ci troviamo bene dappertutto, purchè ci sia da mangiare e bere. 

     E’ versione casareccia di “Patria est ubicumque est bene”, la mia patria sta dove mi trovo meglio (Pacuvio).[10]

 

Sacce ‘sto… baffe ca carta parla, ie ?!

      E questo sarebbe un proverbio? Sissignore. Significa che “verba volant, scripta manent” (Finché facciamo chiacchiere, ognuno può fare quello che vuole; ma quando abbiamo messo nero su bianco, nessuno può venir meno ai patti).  



[1] Funi (dal lat. laqueus) che, tirate per bene con le pezzóchera (bastoncini di legno), legano e tengono stretta la soma al basto dell'asino.

[2] Il Fiore delle Sentenze Latine e Greche, B.U.R., Milano 1993.

[3] Ibidem.

[4] Zona bassa, a valle del paese. Insomma quelli che abitano nella città vicina.

[5] Non riesce a produrre la lana o, producendola, non riesce a sopportarne il peso.

[6] Vinaccia, scarti dell’uva pigiata.

[7] A sud-ovest, verso il Mar Tirreno (Funne, Menturne, glie Palude), dove i nostri nonni  portavano a svernare le greggi.

[8] O anche “Quanne gli èine fèvene tìrele tìrele, glie tiémpe se revasta”.

[9]L’insalata è buona (da mangiare) quando è cresciuta abbastanza. Come la messa è valida se arriviamo in chiesa prima dell’elevazione, quando la messa “s’ aza” o “se vota” (s’alza o si gira).

[10] Il Fiore delle Sentenze Latine e Greche, B.U.R., Milano 1993.